Colline del Prosecco
Provate a perdervi salendo una qualsiasi delle cento e più colline, rive di buona terra lavorate come da un orafo in una filigrana di vigneti ricamata su gradoni, cucuzzoli o mammelle, ricche e opulente al punto da ornarsi il capo con secolari corone, come il Castello di Credazzo, recinto merlato voluto dai Caminesi intorno a tre torri o la chiesetta di San Lorenzo appena più in basso, con gli arcani caratteri incisi sulla pietra e ancora la chiesa di San Vigilio, dal grande orologio bordato di rosso.
La curiosità del visitatore desideroso di conoscere i luoghi più caratteristici e nascosti: le case in pietra, le chiese ed i capitelli dei molti borghi rurali; le ville venete con i "broli". Quattro tratti in salita consentono di guadagnare le più modeste alture retrostanti i centri storici di Soligo, Farra e Col San Martino, segnalate dalle chiese di San Pietro e Paolo, San Lorenzo, San Vigilio e San Martino; con un ulteriore sforzo si raggiungono le torri di Credazzo, inconfondibili presenze medioevali lungo il fronte collinare più elevato, ed il "passo" tra i territori comunali di Farra e Vidor, con la salita dal Rio Bianco fino alla discesa verso Colbertaldo.
Un'altra 'chicca' per il visitatore sono i Palù.
Palù del Quartier del Piave
Il nome "pagano" di palude ancora permane dopo la "buona" e cristiana bonifica: una "regola" fatta di fossi, canali, siepi e filari.Il percorso si svolge nell'area pianeggiante dei Palù, nel cuore del Quartier del Piave. L'importanza naturalistica e paesaggistica della zona è legata alle particolarità geologiche del suolo, di qualche metro più basso rispetto alle aree circostanti e costituito da stratificazioni argillose, quindi impermeabili.
Per tale motivo le acque della fascia collinare convogliano qui e, riemergendo nelle numerose risorgive, generano un'area paludosa, da cui deriva il nome. Questa caratteristica è stata sfruttata dall'uomo per ottenere un sistema produttivo rispettoso dell'ambiente fin dal XII secolo, quando fu eseguita una bonifica ad opera dei monaci benedettini dell'abbazia di Vidor, che trasformarono l'acquitrino in un sistema ordinato di prati e canali di drenaggio, grazie ai quali il terreno veniva regolarmente irrigato, permettendo una produttività maggiore rispetto al rimanente Quartier del Piave.
Il nome dei "campi chiusi", di cui si possono osservare degli esempi ancor oggi, deriva dalle bonifiche: gli appezzamenti erano circondati da filari di arbusti e di alberi d'alto fusto, che avevano il duplice compito di proteggere i canali dall'erosione durante le piene e i prati dall'eccessivo calore estivo, oltre che di fornire legna da ardere e materiale per la costruzione di vari utensili di lavoro.
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